La reazione della soia al braccio di ferro sui dazi USA-Cina
Breve analisi del mercato internazionale della soia e della reazione dei mercati finanziari all'annuncio dei dazi cinesi
Pubblicato da Matteo Cavallo. .
Alimentari CongiunturaIl governo statunitense ha annunciato l’introduzione di dazi sull’importazione di più di 1000 tipologie di prodotti cinesi per un valore di circa 50 miliardi di dollari. La risposta cinese non ha tardato ad arrivare con l’annuncio di un piano d’imposte doganali sui prodotti made in USA dello stesso ammontare. L’amministrazione statunitense punta a colpire l’high tech cinese. La Cina risponde mirando ai produttori del settore agroalimentare e dunque al cuore dell’elettorato di Trump.
In quest'articolo verrà analizzato inizialmente il mercato della soia e le dimensioni dei principali player. Successivamente verrà operato un focus sull'evoluzione dei prezzi finanziari e sulla dinamica di breve perido.
La soia ricopre un ruolo strategico chiave: la Cina è il primo consumatore mondiale mentre gli USA sono il secondo esportatore. Un dazio del 25%, come annunciato dal ministro del commercio cinese, sarebbe un duro colpo per i produttori statunitensi: Davie Stephens, produttore del Kentucky e vice presidente dell’American Soybean Association (ASA), sottolineando la dipendenza dal commercio con la Cina e ricordano la crisi del settore del 2013, ha espresso in questi giorni il proprio disappunto sulle manovre del proprio governo aderendo alla campagna #TradeNotTariff.
Il mercato internazionale della soia
Esaminiamo la distribuzione delle quote di mercato delle fave di soia relativi agli scambi nel 2017.
Le quote di mercato della soia (2017) |
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Fonte: SIUlisse - StudiaBo
Come mostrato nel grafico a torta intitolato “Importazioni mondiali”, la Cina si attesta come il principale consumatore di fave di soia con una quota di import superiore al 60% degli scambi mondiali. Nessun altro paese detiene quote in doppia cifra, con Olanda, Messico e Germania che hanno valori di import del 3% ciascuno. Il grafico a torta di destra mostra invece le quote dei principali player presenti sul mercato cinese: la soia importata in questo paese proviene per il 56% dal Brasile e per il 31% dagli USA. Una quota significativa pari a circa il 7% è detenuta dai produttori argentini.
La reazione dei prezzi al Chicago Mercantile Exchange
La minaccia cinese è ritenuta credibile dagli operatori finanziari tanto da portare, nei scorsi giorni, ad una flessione importante delle quotazioni di fave e farina di soia.
Quotazioni fave, farina e olio di soia |
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Fonte: CME
Il grafico mostra che la minaccia del governo cinese ha generato al CME
una perdita del 15% nella quotazione delle fave (passate da circa 380 dollari a
tonnellata a poco più di 320 dollari),e del 13% nella farina, (da quasi 420 a 370 dollari).
Questa nuova fase è giunta al termine di un periodo di relativa stabilità: nei primi due mesi del 2018 il
prezzo della soia è stato interessato da un periodo di crescita che ne ha determinato un
aumento di livello. Tra gennaio e febbraio infatti la farina è passata da 340 a 430 dollari
mentre le fave da 340 a 390 dollari.
Tra marzo e maggio il prezzo di questi due prodotti è rimasto sostanzialmente stabile.
I dazi cinesi, qualora si realizzassero, contrarrebbero la domanda di soia targata USA, determinando un eccesso di offerta sul mercato e quindi una brusca frenata nei prezzi. Questo è il fenomeno economico che ha mosso i mercati finanziari in anticipo rispetto all’effettiva introduzione e che ha preoccupato, e non poco, i produttori statunitensi.
In sintesi
La soia è una delle chiavi di questa guerra commerciale e i mercati finanziari hanno iniziato a crederci. I dati confermano che il mercato cinese della soia è quello principale a livello mondiale e l’introduzione effettiva dei dazi potrebbe decretare l’esclusione dei produttori statunitensi da esso con effetti disastrosi sull’occupazione USA. Per la Cina, quindi, i dazi all'importazione della soia potrebbero rivelarsi una contromisura efficace, in quanto:
- gli Stati Uniti non hanno il monopolio della produzione e quindi possono essere sostituiti da altri paesi come l’Argentina e il Brasile;
- un unico prodotto può creare squilibri molto forti nell’economia USA;
- il crollo dei prezzi, se prolungato, produrrebbe una crisi per uno dei settori principali dell’economia statunitense.