Prezzo del petrolio in aumento, per quanto ancora?

Rialzo del prezzo del petrolio sostenuto dalle tensioni geopolitiche e dalle calamità naturali

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Nella settimana passata si è assistito ad un rialzo del prezzo del petrolio. Venerdì 12 Luglio le quotazioni del Brent, del WTI e del Oman/Dubai hanno chiuso rispettivamente a 67, 60 e 64 dollari al barile segnalando rispetto a due settimane fa un aumento del circa +4% per i primi due e del 3% per l’Oman/Dubai.

Andamento del prezzo del petrolio

A sostenere la spinta di questa settimana ci sono fattori attribuibili a shock di breve periodo, quali tensioni geopolitiche e calamità naturali:

  1. a seguito dell’allerta meteo per l'uragano Barry in Messico, poi rivelatosi particolarmente violento, il prezzo del petrolio ha iniziato ad aumentare. In Messico si è assistito ad una riduzione della produzione di petrolio, pari a 1 milione di barili al giorno;
  2. le tensioni tra Iran e Gran Bretagna si fanno sempre più aspre. Secondo uno statement del governo britannico l’Iran ha bloccato il passaggio ad una petroliera nello stretto di Hormuz, richiedendo l’intervento della British Navy (fonte Bloomberg).

L’aumento più forte si è registrato mercoledì 10 luglio. Da un lato Trump ha accusato l’Iran di arricchirsi in segreto di uranio ed ha espresso la sua volontà di inasprire le sanzioni contro il paese, dall’altra la pubblicazione del Weekly Report dell’ Energy Information Administration (EIA), che segnala una nuova diminuzione delle scorte americane - in calo da quattro settimane -. In quest’occasione il WTI ha guadagnato 2.60 dollari (+4%) e il Brent 2.90 dollari (+4.5%).

Orizzonte di lungo periodo

La spinta del prezzo del petrolio della settimana passata è stata sostenuta solo da effetti di breve periodo. In un’ottica di lungo periodo il rallentamento dell’economia globale potrebbe spingere il prezzo del petrolio al ribasso. In un’ottica di lungo periodo il rallentamento dell’economia globale potrebbe spingere il prezzo del petrolio al ribasso. Ad esempio due settimane fa, finito l’ottimismo per il vertice OPEC il prezzo del petrolio è tornato a decrescere. Bloomberg riporta la dichiarazione di Jun Inoue, senior economist al Mizuho Research Institute Ltd: “Concerns over a slowdown in global crude demand will continue to weigh on prices despite supply risks stemming from the Middle East tensions and the U.S. storm” (Le preoccupazioni per il rallentamento della domanda globale di greggio continueranno a pesare sui prezzi, nonostante i rischi di approvvigionamento derivanti dalle tensioni mediorientali e dalla tempesta degli Stati Uniti).

Lo Short Term Energy Outlook (STEO) dell’EIA, uscito Martedì 9 luglio, sembra confermare questa visione o meglio risulta chiaro come sono mutate le aspettative sul mercato del petrolio nel primo semestre 2019. Nel corso dei primi 6 mesi dell’anno l’EIA ha cambiato le previsioni circa il consumo mondiale di petrolio, prediligendo una visione ribassista. Confrontando il report di gennaio 2019 con quello di luglio 2019 emerge chiaramente come le aspettative negative sul ciclo economico abbiano avuto un forte impatto sul consumo di petrolio. Nel report di gennaio, infatti, l’EIA stimava una crescita del +1.5% sia per il 2019 che per il 2020. Nel report di luglio c’è stata una correzione al ribasso: nel 2019 il consumo mondiale aumenterà del +1.1% (-0.4, rispetto alla previsione di gennaio) mentre nel 2020 esso è previsto aumentare del 1.4% (-0.1).
Alla base di questo nuovo scenario ci sono aspettative di una crescita sempre più debole dei paesi appartenenti all’OCSE. A gennaio l’EIA prevedeva che i paesi OCSE avrebbero aumentato il consumo dello +0.9% per il 2019 (+0.7% per il 2020).Nel report di luglio le previsioni sono state ridotte ad un aumento di solo lo 0.03% per il 2019 e del +0.5% nel 2020. I paesi che maggiormente contribuiranno al contenimento dei consumi di petrolio sono Giappone (-3%), Canada (-3%), Messico (-0.3%) ed Europa (-0.3%). Questi paesi rappresentano circa la metà dei consumi dell'area Ocse, con quote pari a 31% (Europa), 8% (Giappone), 5% (Canada) e 4%(Messico).
Per i paesi non appartenenti all'OCSE il nuovo scenario è rimasto sostanzialmente invariato. A gennaio l'EIA prevedeva un aumento dei consumi per il 2019 pari al +2.1%, con una debole accelerazione nel 2020 (+2.2%). A luglio la previsione per il 2019 è del +2.0%, mentre è riconfermata quella del 2020. A sostegno della domanda del 2019 è previsto un aumento dei consumi per la Cina1 e per il Brasile, rispettivamente del 4.0% e 1.2%.

In conclusione, nel corso della seconda parte del 2019 e nei primi mesi 2020 si vedrà se l’OPEC sarà ancora in grado di sostenere il prezzo del petrolio. Al vertice di Vienna i paesi del cartello e i suoi alleati si sono presi l’impegno di ridurre la produzione in un’ottica di lungo periodo, con l’obiettivo anche di controbilanciare l'aumento dell'offerta americana. Al-Falih, ministro dell'energia saudita, ha dichiarato “intervention will be necessary until American shale output goes into decline” (L'intervento sarà necessario fino a quando la produzione di shale oil americano non andrà in declino). Il predecessore di Al-Falih sostiene invece che “production cuts by OPEC would only back-fire by giving prices enough support to encourage greater investment in U.S. shale” (I tagli alla produzione da parte dell'OPEC non farebbero che arretrare dando ai prezzi un sostegno sufficiente per incoraggiare maggiori investimenti negli Stati Uniti) (fonte Bloomberg).
Quest’ultima affermazione sembra trovare ragione nell’ultimo report dell’EIA, dove si registra un eccesso di offerta sia per il 2019 sia per il 2020, sostenuta da un aumento della produzione US che è prevista crescere nel 2019 del +11% e nel 2020 del +7%.


(1) La domanda è prevista crescere in quanto verranno installati e/o completati nuovi impianti petrolchimici