Le quotazioni giornaliere del petrolio sfiorano i minimi da tre anni

Il fallimento del vertice OPEC e il crollo delle quotazioni

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Lunedì nero (marzo) per i mercati finanziari: le quotazioni del petrolio perdono circa il 30% dopo che l’Arabia Saudita ha deciso di tagliare i prezzi ufficiali dei listini per le consegne (Arab Light) di aprile. La decisione di applicare dei prezzi particolarmente bassi (agli europei è stata applicato uno sconto di otto dollari) si inserisce nella recente guerra ai prezzi, innescatasi alla conclusione del vertice OPEC+. L’intento, come riporta il Sole24Ore, è quello “di combattere per il recupero delle quote di mercato perdute”.
In un contesto di debolezza della domanda di petrolio, i produttori dovranno spingersi fino ad applicare dei prezzi molto bassi, probabilmente stabilmente inferiori alla soglia dei 50 dollari al barile, nella speranza di conquistare quote di mercato. La crisi si è originata venerdì 6 marzo. Al termine del vertice dell’OPEC Plus, Novak, ministro dell’Energia russo, ha dichiarato: ”Mosca non ha accettato di avallare i tagli di produzione extra che l'Opec ha cercato di imporle” e continua “quando sarà scaduto l'attuale accordo sui tagli (aprile), non ci saranno più restrizioni a produrre né per l'Opec né per i Paesi non Opec”, consacrando il fallimento del vertice OPEC+.
Alla luce di questi eventi, le quotazioni del greggio chiudono in forte ribasso rispetto alla settimana scorsa. Il Brent chiude a 45.27 dollari al barile (-4.4 dollari), il WTI a 41.3 (-3.5 dollari) e l’Oman/Dubai a 44.7 (-4 dollari). Non si registravano livelli così bassi dal 2017.

Grafico 1: Andamento prezzo del petrolio
Andamento prezzo del petrolio

Fallito il vertice OPEC Plus

Il 5 e il 6 marzo si è tenuto a Vienna il vertice OPEC+. Questo si sarebbe dovuto concludere con l’approvazione di un ulteriore taglio alla fornitura di greggio da parte dei paesi del cartello e i suoi alleati. Il piano elaborato dall’Arabia Saudita era già pronto ma, dopo settimane di incertezza, il Cremlino ha deciso di non accettare le manovre. Il fallito piano consisteva in un’aggiuntiva tranche di tagli alla produzione pari a 1.5 milioni di barili al giorno, di cui 500.000 a carico di Mosca. Il taglio alla produzione totale, considerando anche quelli già in vigore, sarebbe stato pari complessivamente a 3.6 milioni di barili al giorno, ossia il 4% dell’offerta globale. Questo sarebbe stato un taglio record, superiore, in termini percentuali, a quello effettuato a fine 2008. Con l’accordo, la fine dei tagli sarebbe stata nuovamente rinviata comprendendo tutto il 2020, mentre prima del vertice erano stati fissati tagli fino al secondo trimestre 2020.
La decisione dell’OPEC di non avvallare questa politica comporta la fine delle misure e delle quote produttive già in vigore fino alle fine mese. Da aprile, infatti, non ci saranno più restrizioni per l’OPEC Plus. Ora si paventa addirittura l’ipotesi di una possibile rottura dell’allenza OPEC Plus, la cui nascita era stata formalizzata a luglio 2019, con l’obiettivo di contrastare la produzione americana e controllare quindi l’offerta sul mercato. A tal proposito Roger Diwan, vicepresidente di IHS Markit, ha dichiarato: “Il coronavirus ha fatto un’altra vittima: l’alleanza dei produttori”.

Il piano proposto dell’Arabia Saudita prevedeva che dai tagli volontari fossero esclusi, come in passato, Iran, Libia e Venezuela. L’esclusione mira a salvaguardare economie caratterizzate da instabilità economica e politica.

Le esportazioni di petrolio venezuelane sempre più difficili

In Venezuela la situazione si fa sempre più caotica a causa dell’instabilità politica – con le elezioni alle porte – e le sanzioni statunitensi. Si ricorda inoltre che le sanzioni USA hanno riguardato ultimamente anche Rosneft: il gigante petrolifero russo è stato inserito da qualche settimana nella blacklist di Washington.
Gli USA si stanno preparando a nuove misure per ridurre ulteriormente le esportazioni di petrolio venezuelane e probabilmente non rinnoveranno la licenza, in scadenza ad aprile, a Chevron Corp per continuare a fare affari con la società statale PDVSA. Quest’ultima sta vivendo una crisi interna profonda: alcuni componenti dei vertici amministrativi sono stati arrestati e accusati di tradimento per avere condotto dei traffici illegali.
Chevron è un’azienda statunitense che ancora opera in Venezuela, che continua ad estrarre petrolio con PDVSA e a scambiare greggio venezuelano sui mercati internazionali. Il petrolio resta un bene fondamentale per il questo paese. Ad oggi, infatti, rappresenta l’unica moneta valida per il pagamento dei debiti verso i paesi esteri. Gli USA hanno esortato tutte le aziende che collaborano con il Venezuela ad interrompere gli scambi nel rispetto delle nuove sanzioni.
Nonostante questo invito il Messico ha concluso un accordo con il Venezuela: oil for food agreement. L’accordo consiste nello scambio di forniture di greggio venezuelano per mais e acqua dal Messico. La società messicana Libre Abordo, che ha condotto questo accordo, ha dichiarato che tale alleanza non si pone in contrasto con le sanzioni statunitensi, poiché il petrolio ricevuto non è una forma di pagamento ma una compensazione per gli aiuti alimentari (fonte Reuters).