Il caro energia minaccia la crescita globale

Settimanale metalli non ferrosi LME - Commento dell’11 ottobre 2021

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LME Non Ferrosi Analisi settimanale LME

DINAMICA SETTIMANALE

Andamento non ferrosi

 

La quotazione dell’indice LMEX è salita a quota 4365 $. L’indicatore di momentum che misura la forza del trend in atto è in zona neutra, ma in rialzo. La chiusura settimanale è sopra le medie mobili a 10, 20 e 40 giorni. Nel complesso ne deriva un’indicazione rialzista per il breve termine. Occhi puntati sempre sulla Cina e sulle strozzature nella supply chain globale. Sul comparto dei metalli impatta il caro energia.

COMMENTO MACROECONOMICO E PROSPETTIVE

Da inizio 2021 fino ai primi di ottobre, sulle borse, le materie prime del settore energetico hanno registrato decisi rialzi – gas naturale +66% in Europa e +116% negli Stati Uniti, petrolio Brent +61%, petrolio WTI +58%, carbone +243% negli Stati Uniti –, che inevitabilmente si sono trasferiti anche al costo dell’energia elettrica, che, per esempio, in Italia, ha registrato un +200%.

L’energia elettrica può essere prodotta con diverse tecnologie e da diverse fonti: termoelettrico, idroelettrico, nucleare, eolico, fotovoltaico, tuttavia la tecnologia ancora più diffusa, a livello globale, è il termoelettrico. E proprio per questo la produzione di energia elettrica è particolarmente sensibile agli aumenti di prezzo delle materie prime sottostanti, ovvero petrolio, gas naturale e carbone. I prezzi di queste tre materie prime, oggi, sono sui massimi pluriennali e ciò spiega il rincaro dei costi dell’energia.

Non stupisce dunque che, nei giorni scorsi, il problema della “bolletta elettrica” sia balzato agli onori delle cronache. Negli Stati Uniti, in Cina e in Europa si sta cercando di capire come fronteggiare la doppia emergenza: da una parte i costi elevati, dall’altra il rischio di blackout. A queste due emergenze, inoltre, si aggiunge il tema del contenimento delle emissioni di CO2, che da sempre rappresenta il rovescio della medaglia del termoelettrico, dato che lo sfruttamento dei combustibili fossili per produrre energia è un processo altamente inquinante.

Negli Stati Uniti, aziende come Tesla stanno già rallentando l’attività produttiva, a causa dei blackout elettrici. In Cina, nelle regioni a più alta emissione di CO2, per limitare l’inquinamento sono già scattati fermi produttivi per i settori della fabbricazione di metalli e delle costruzioni. Secondo UBS, Pechino potrebbe ridurre del 10-15% il proprio consumo di energia, con l’effetto, però, di una riduzione del 30% per l’attività dei settori più energivori e, quindi, un impatto sulla domanda di rame e di altri metalli.

In India, la crisi del carbone ha già creato una situazione precaria per i produttori di alluminio, poiché le scorte di carburante sono precipitate a livelli critici, aumentando il rischio di tagli alla produzione entro la fine di ottobre in caso di mancata ripresa delle forniture. In Europa si ipotizzano fermi produttivi per gli impianti industriali più energivori, come le acciaierie e le industrie automobilistiche. Questi fermi produttivi, ove dovessero perdurare, avrebbero effetti negativi sul PIL dei singoli paesi e di conseguenza sul PIL globale.

Capital Economics ha calcolato che un eventuale razionamento energetico deciso in Europa per far fronte all’eccessivo rincaro del gas potrebbe portare via, ogni trimestre, lo 0.5% del PIL. Contemporaneamente, un eccessivo rincaro dell’energia metterebbe in ulteriore affanno l’industria, già in difficoltà per la carenza di materie prime e di componenti, riducendo gli utili.

I prezzi elevati delle materie prime stanno poi impattando anche sui costi dei trasporti, con una ricaduta negativa sull’inflazione, che è già ben oltre i livelli di guardia in diversi paesi.

Per tranquillizzare i mercati, nei giorni scorsi sono scesi in campo Biden e Putin, che hanno promesso di aumentare le forniture di petrolio e gas, per scongiurare blackout e frenare la rincorsa dei prezzi. Biden ha anche considerato plausibile l’eventualità di vendere parte delle ingenti riserve strategiche di petrolio e gas statunitensi. Putin, da parte sua, ha promesso più gas per l’Europa, mentre il ministro russo dell’energia ha indicato che il prezzo corretto del petrolio, in questo momento, dovrebbe essere intorno a 45-60 dollari al barile – quando, invece, la settimana scorsa, il barile viaggiava sopra gli 80 dollari, anche per via della decisione dell’Opec di non incrementare ulteriormente l’offerta.

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LA REAZIONE DEI MERCATI
Il CRB Index, indice generale delle commodity, ha chiuso in rialzo e registra il nuovo massimo annuale.
L’indice dei metalli non ferrosi quotati all’LME ha chiuso in rialzo.
Noli marittimi e container in rialzo.
Petrolio e gas naturale in rialzo.
Metalli preziosi stabili.